TERRORE IN PAKISTAN - 1

la notizia vista dalla stampa francofona

di Maria Azzurra Silvestro

 

A Rawalpindi, città pakistana, sede del quartier generale del presidente Musharraf, l’attentato di martedì 30 ottobre ha provocato sette morti e quattordici feriti. È questo il bilancio dell’ esplosione causata da un’ azione suicida di un kamikaze:”un uomo a piedi è stato fermato ad un posto di blocco della polizia e poi ha fatto saltare gli esplosivi che aveva addosso”, racconta un poliziotto.

Negli articoli pubblicati il 31 ottobre sul quotidiano marocchino Liberation  e su quello tunisino Le Quotidien vengono riportate le parole di alcuni testimoni che affermano che “il presunto attentato è avvenuto ad un chilometro dall’ ufficio del quartier generale dell’ esercito del generale Musharraf nella città di Rawalpindi”.

Come emerge dai due quotidiani, però, il governo pakistano preferisce mantenersi vago sull’ obiettivo dell’ azione suicida. Infatti, il ministro delle Ferrovie Sheikh Rashid, “molto vicino” al presidente Musharraf , afferma: “si è trattato di un attentato suicida. La zona è sensibile (ma) noi non sappiamo quale fosse precisamente il bersaglio” e il portavoce del Ministro dell’ Interno, Javed Cheema, giunge ad escludere che si sia trattato di un attacco all’ esercito, dichiarando: “Il kamikaze si è fatto esplodere ad un posto di blocco della polizia (…). Sembra che si tratti di un attacco mirato alla polizia”. Tuttavia, come scrivono sia Liberation che Le Quotidien, al momento dell’ esplosione  Musharraf si trovava nel proprio quartier generale “in riunione con dei responsabili del governo e delle province del Pakistan per discutere della situazione della sicurezza del paese, in preda ad un’ ondata di attentati senza precedenti a partire da luglio”.

Come i due giornali nord-africani, anche l’ articolo pubblicato il 31 ottobre sul quotidiano svizzero 24 Heures non si limita a riportare la notizia dell’ attentato ma ripercorre gli avvenimenti di sangue più gravi che hanno scosso il Pakistan negli ultimi mesi: in particolare, la morte di 25 persone a causa dell’ azione di due kamikaze a Rawalpindi il 4 settembre e l’ esplosione a Karachi il 18 ottobre (“giorno del ritorno dall’ esilio dell’ ex-Primo ministro Benazir Bhutto”) che ha ucciso 139 persone ed è ritenuto “il peggiore attentato suicida della storia del Pakistan”. Si tratta di attentati perpetuati da “islamici vicini ai talebani afgani e ad Al-Qaida” e considerati come “delle azioni di rappresaglia a seguito del sanguinoso assalto compiuto a luglio dalle forze di sicurezza pakistane alla Moschea Rossa d’ Islamabad, nascondiglio dei fondamentalisti”.

 24 Heures e il quotidiano marocchino Liberation segnalano entrambi la difficile situazione delle zone al confine con l’ Afghanistan, soprattutto quella della valle di Swat dove “le forze di sicurezza sono impegnate contro i partigiani di un capo religioso integralista vicino ai talebani, Maulana Fazlullah” : negli scontri di domenica 28 ottobre sono rimasti uccisi 60 ribelli e 20 persone tra le   forze dell’ ordine e i civili; dopo il “cessate il fuoco” solo nella giornata di lunedì sono fuggite 600 abitanti della zona, come ha dichiarato Ali Rahaman, uno dei responsabili della polizia locale. Conclude Liberation: “questa regione di montagna, che fino a poco tempo fa era una località turistica apprezzata, è divenuta un bastione fondamentalista”.

 

 

 

Nei giorni successivi le notizie provenienti dal Pakistan si moltiplicano.

Momento decisivo è la proclamazione dello stato d’ emergenza da parte del generale Pervez Musharraf, avvenuta sabato 3 novembre.

 Come riporta l’ 8 novembre il quotidiano belga le soir , “l’ état d’ urgence” è stato giustificato dal governo “invocando la recrudescenza senza precedenza degli attentati islamici e l’ ingerenza della magistratura nella lotta contro gli estremisti”. Tuttavia, si legge ancora su le soir, “l’ opposizione che, unanimi, le capitali occidentali, muovono è che (Musharraf) abbia trovato il pretesto per aggrapparsi ad un potere vacillante all’ avvicinarsi delle legislative”.

In particolare, le pressioni rivolte al governo pakistano nei giorni precedenti hanno riguardato la sospensione dello stato d’ emergenza e il rispetto della scadenza del mese di gennaio per svolgere regolari elezioni. Il quotidiano marocchino Aujourd’ hui riporta le dichiarazioni rilasciate mercoledì dal ministro degli esteri britannico David Miliband che invita “il governo del Pakistan ad annunciare immediatamente una data precisa per le elezioni di gennaio”, “a rimettere in libertà tutti i  prigionieri politici, a mettere fine alle restrizioni sui media” ed “esorta il presidente pakistano a mantenere la sua promessa di lasciare le funzioni di capo delle forze armate a novembre”.

Le pressioni internazionali più rilevanti sono state sicuramente quelle degli U.S.A. che, come scrivono il quotidiano svizzero 24 Heures e quello tunisino Le Quotidien, sono i “principali alleati nella lotta al terrorismo e i principali finanziatori” del generale Musharraf.

Tuttavia la vera svolta è avvenuta mercoledì sera quando, come scrive le soir, “Benazir Bhutto ha invitato, per la prima volta, a manifestare contro lo stato d’ emergenza”. La scelta dell’ ex- Primo Ministro di condannare apertamente i provvedimenti del governo ha fatto crescere il numero di proteste nel paese e, di certo, ha avuto effetto sulle decisioni successive di Musharraf. Quest’ ultimo, come riportano il giorno stesso i quotidiani svizzeri 24 Heures e Le Temps, ha dichiarato giovedì alla televisione di stato: “Non c’è ombra di dubbio nella mia mente. Le elezioni devono avere luogo, e prima del 15 febbraio 2008”. Il generale ha inoltre “rinnovato la sua promessa di abbandonare le funzioni di capo delle forze armate prima di prestare giuramento per un secondo mandato presidenziale, una condizione imposta dalla Costituzione affinché la sua rielezione del 6 ottobre da parte delle assemblee nazionali e provinciali, tutte vicine alla sua causa, possa essere valida”. “Poco dopo- proseguono i due giornali- il procuratore generale del Pakistan Malik Mohammed Quayyum ha ugualmente assicurato alle agenzie di stampa che lo stato d’ emergenza sarà sospeso prima delle legislative, in uno o due mesi”.

Il quotidiano Le Temps, tramite un articolo dei propri corrispondenti da Islamabad, dedica ampio spazio alle dichiarazioni di Benazir Bhutto e alle reazioni che ne sono susseguite.

L’ ex- Primo Ministro, dalla sede del suo partito, il Partito del Popolo Pakistano, ha dichiarato: “Il nostro paese è in pericolo.(..)Noi pensiamo che possiamo salvarlo coinvolgendo il popolo nel processo politico. Chiediamo la liberazione di tutti coloro che sono stati arrestati, dei giudici, degli oppositori politici, degli avvocati”. Sherry Rehman, la sua portavoce, afferma: “Non vogliamo che ci sia del sangue versato sulle strade, ma noi siamo pronti ad andare fino in fondo. E ora è necessario mobilitarsi”.

Il quotidiano svizzero mette in risalto, però, la presenza di un sentimento di scetticismo nei confronti della leader politica, poiché come spiega un intellettuale politico Zahid Hussain “Benazir Bhutto ha tradito il suo elettorato venendo a patti con il regime militare”. Hussain si riferisce al probabile accordo che avrebbe condotto ad un’ alleanza tra la Bhutto e Musharraf  “per le elezioni legislative  che dovevano avere luogo nel gennaio 2008”. Non sorprendono così le parole di un intervistato che afferma: “Perché è venuta ad Islamabad, se non per negoziare con il presidente?(..)Potrebbe di nuovo giungere a degli accordi segreti con lui, come ha fatto recentemente”.

Tuttavia,  Le Temps sottolinea anche l’ entusiasmo intorno alla Bhutto: “I sostenitori dell’ ex- Primo Ministro sono ammassati dietro le cancellate”. (..)”Tra le grida, Iridj spiega: noi, crediamo in Bernazir, è ormai la sola persona capace di salvare il Pakistan”.

 

 

Venerdì 9 novembre, le notizie relative alla situazione pakistana, riportate dalla stampa francofona, sono nuovamente incentrate sulla figura di Benazir Bhutto.

Il giornale tunisino Le Quotidien riporta motivazioni dichiarate dal capo della polizia di Rawalpindi in base alle quali è stato vitato il meeting del Partito del Popolo Pakistano che doveva svolgersi venerdì nella piccola cittadina alla periferia di Islamabad: “Disponiamo di informazioni molto precise provenienti dai servizi di informazioni secondo le quali alcuni kamikaze pronti a fare esplodere le loro bombe sono entrati a Rawalpindi”. La polizia, inoltre, riporta il quotidiano svizzero Le Temps, ha ritenuto opportuno porre la Bhutto agli arresti domiciliari perché come ha dichiarato un alto funzionario della polizia : “Noi abbiamo cercato di convincerla ad annullare questo raduno ma lei non ha voluto, non abbiamo avuto altra scelta di fare rispettare le disposizioni”.

I tentativi della donna di raggiungere i manifestanti vengono riferiti sia da le soir che da 24 Heures. Quest’ ultimo riporta le parole della Bhutto che prima di rientrare in casa, dopo essere stata fermata per la terza volta, grida: “Io non voglio che il Pakistan diventi l’Irak, vi devo salvare”.

Gli arresti domiciliari sono stati sospesi in serata in quanto, come ha spiegato il ministro dell’ informazione, Tariq Azzeem: “Si è trattato di un mandato temporaneo per impedire l’ esposizioni a gravi minacce di attentato suicida”.

 

 

Il quotidiano Le Temps il 9 novembre, oltre a soffermarsi sugli arresti dell’ ex- Primo Ministro, dedica un articolo all’ impegno degli “uomini di legge” nella resistenza al “regime del generale Musharraf” che “sono stati i primi ad aver manifestato dopo la proclamazione dello stato d’ emergenza”. Viene evidenziato come “gli avvocati si siano abituati a scendere nelle strade”  da quando nel marzo scorso “il regime militare a tentato di silurare il capo della Corte Suprema, Iftikhar Mohammed Chaudhry”. Prosegue Le Temps: “Sotto anonimato,un esperto spiega che diventa sempre più evidente che il presidente Musharraf ha decretato lo stato d’ emergenza per rimanere al suo posto e per impedire alla Corte Suprema di invalidare la sua elezione alla presidenza del 6 ottobre”. Ma gli avvocati sono certi che le loro azioni di protesta non saranno vane: “Poco importa che noi saremo tutti arrestati, il capo dello stato ha perso. La Corte ha decretato illegale lo stato d’ emergenza, è la fine di Musharraf”, come ha dichiarato Aitzaz Ahsan, prima di essere arrestato.