Libano, speranze e tormenti    

la notizia vista da “Il Messaggero”, “L’Unità” e “Corriere della sera”    

di Martina Scalisi

Dopo tre giorni di feroci combattimenti con l’Esercito regolare libanese,  i miliziani qaedisti Fatah Al Islam hanno in modo unilaterale proclamato un cessate il fuoco a partire dalle 13.30 del 22 Maggio ora locale. La motivazione fornita dal portavoce del gruppo integralista è quella di “contribuire a porre fine alle sofferenze dei civili” nel campo profughi di Nahr Al Bared alle porte di Tripoli. Questo è quanto riportato dal Corriere della Sera il 23 Maggio.

Il giorno precedente, di tregua i giornali ne parlavano ancora poco: l’attenzione era concentrata su situazioni ben differenti.L’Unità, infatti, ha messo in primo piano le persone rimaste sepolte sotto le macerie, tra le quali spiccano i nomi di Abu Yazan, affiliato del gruppo jihadista legato ad Al Qaeda, sospettato per l’attentato del 13 febbraio scorso in un villaggio cristiano a nord di Beirut, e Saddam Hajadib, ricercato per i falliti attentati ai treni in Germania nell’estate 2005. Il Messaggero invece, è più attento a quelle che possono considerarsi le cause scatenanti degli scontri: un attentato a Beirut, nel quartiere cristiano di Ashrafiyeh, all’entrata del centro commerciale Abc in cui è rimasta uccisa una donna di 63 anni e almeno altre 12 persone ferite, e l’incursione delle forze di sicurezza (Fsi) a Tripoli, che hanno tentato di arrestare militanti di Fatah Al Islam ritenuti coinvolti in una rapina in banca.

Recentemente, come riportato da Il Messaggero dello stesso giorno, Sabir al Abssi, uno dei capi di Fatah Al Islam e reduce da un carcere siriano nel quale ha trascorso tre anni con l’accusa di terrorismo, aveva, in un intervista al New York Times, dichiarato: ” L’unico modo per ottenere i nostri diritti è la forza, condivido la visione di  Al Qaeda di puntare alla creazione di una nazione islamica globale”.

Il 24 MaggioL’Unità nel suo articolo dedicato alla situazione libanese pubblica un’intervista a Walid Jumblatt, leader druso, segretario del partito socialista progressista libanese, esponente di  primo piano della maggioranza antisiriana che sostiene il governo di Fuad Siniora. Jumblatt avanza pesanti accuse nei confronti della Siria: “La Siria sta adottando in Libano la stessa strategia destabilizzante che ha praticato per l’Iraq: liberare i jihadisti tenuti nelle sue carceri per infiltrarli ieri in Iraq, oggi in Libano” e aggiunge: ”Lahoua, presidente libanese, è parte di quel processo di destabilizzazione che mira ad impedire che sia fatta piena luce sul complotto che ha portato all’assassinio di Rafik Hariri” e lancia inoltre un appello a tutte le organizzazioni palestinesi comprese Hamas, Al Fatah e altre presenti in Libano, ad adottare un’azione militare e di sicurezza contro questo gruppo.

La risposta non si è fatta attendere: Sultan Abu Alayen, comandante di Al Fatah in Libano, senza mezze parole ha dichiarato di essere pronto a combattere per annientare Fatah Al Islam poiché questa organizzazione non combatte per la causa palestinese ma vuole solo destabilizzare il Paese (Il Messaggero 25 Maggio).

Rassicurazioni giungono anche dal ministro della Difesa libanese, Elias Murr, che parla di resa o annientamento, tratto da Il Messaggero del 24 Maggio, dove viene anche riportata una testimonianza di un abitante del campo Nahr Al Bared, proprietario di un negozio di mobili che dice:” Sono stanco di essere arabo, di tutte queste guerre, di questo passato che ci portiamo addosso come una condanna”.

Infranta dopo due giorni la tregua dei combattimenti tra l’esercito libanese e i miliziani di Fatah Al Islam, gli scambi di artiglieria, cominciati intorno alle 20.45, sono durati una quindicina di minuti (Corriere delle Sera del 25 Maggio).

Vano dunque l’appello lanciato poco prima del reinizio delle ostilità dalla Croce Rossa Internazionale, che aveva invitato le parti a rispettare le norme di diritto internazionale umanitario, ricordando che a Nahr Al Bared vi sono ancora circa 20.000 civili inermi, la metà dei rifugiati che vi abitano normalmente. L’altra metà si è diretta nei giorni scorsi verso Tripoli, e Beddawi un  altro campo profughi (L’Unità del 25 Maggio).

Nel Corriere della Sera dello stesso giorno infine, si legge una dichiarazione del primo ministro libanese Fouad Siniora che afferma: ”Agiremo per sradicare il terrorismo, non cederemo ai terroristi, quale che sia lo slogan che agitano. Il nostro dovere è di liquidare al più presto questo fenomeno terrorista e criminale”.