Libano, speranze e tormenti

La notizia vista dalla stampa italiana: La Repubblica, Avvenire e Il Giornale

di Silvia Di Gennaro

"Alti pinnacoli di fumo avvitati nell’indaco della sera, boati squassanti, raffiche che spazzano le cime delle colline, sfrondano gli alberi, tormentano il grumo di cemento, deserto e disperazione", così il 22 maggio 2007 Il Giornale descrive l’assedio ai seguaci di Al Qaida a Nahr al-Bared, uno dei campi profughi palestinese più popolati in Libano.

L’esercito libanese intende chiudere i conti con il gruppo terroristico Fatah al Islam, che in un articolo di Avvenire del 22 maggio, viene definito come una piccola multinazionale del terrore che predica la guerra santa contro Israele. Avvenire descrive i duri scontri tra l’esercito libanese e i miliziani del gruppo terroristico e le loro conseguenze: nel campo profughi di Nahr al-Bared sono morte una sessantina di persone e centinaia sono i feriti. Tutti civili innocenti.

" La situazione è disastrosa": è stato il grido d'allarme di Richard Cook, direttore dell'agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione dei profughi palestinesi. "Siamo a un soffio dalla crisi umanitaria", sono le parole riportate da Avvenire.

La Repubblica punta l’attenzione invece sui tre giorni di tregua proclamati da Fatah al Islam presso il campo profughi per far arrivare gli aiuti umanitari. "Non è una tregua, ma un cessate il fuoco. Non c'è limite alla sua durata se vi aderisce anche l'esercito libanese", ha spiegato il portavoce del gruppo jihadista Abu Salim Taha.

Il giorno dopo la situazione è però ancora critica. La Repubblica del 23 maggio titola "Tripoli, fuoco sugli aiuti umanitari". Il cessate il fuoco doveva infatti permettere la distribuzione di aiuti ai civili da parte dell’Unrwa (Agenzia ONU per i rifugiati palestinesi), ma un gruppo di cecchini ha preso di mira gli operatori umanitari e la gente che vi si era raccolta intorno. La Repubblica parla di tre morti e di centinaia di rifugiati palestinesi che ieri sera hanno abbandonato il campo.

Il Giornale riporta le parole di una testimone, Sana Abu Faraj: "Ci sono feriti ovunque, non abbiamo pane, medicine, elettricità. Molti bambini sono intrappolati sotto le macerie". Inoltre punta l’attenzione sull’interesse americano alla questione. Il governo libanese ha chiesto soccorso e il Dipartimento di Stato di Washington ha già fatto sapere che potrebbe accontentarlo.

Il 24 maggio l’attenzione dei giornali è rivolta alla fuga dal campo profughi di Nahr al-Bared. Avvenire sottolinea che non si tratta di un grande viaggio per gli sfollati. Da Nahr al-Bared la follia di questa Intifada li spinge poco più a sud, verso il campo profughi di Beddawi. Altre centinaia entrano a Tripoli e si stipano nelle scuole, nelle palestre, in centri improvvisati di accoglienza, come i parchi pubblici.

La Repubblica riporta la testimonianza di Yaya Djab, un uomo di 48 anni in fuga con la moglie e cinque figli: " L’avevamo detto sei mesi fa che questi di Fatah al Islam andavano fermati, ma il governo libanese ha fatto finta di non sentire". Il Giornale riporta le chiare parole di Elias Murr, ministro della Difesa libanese: "I militanti palestinesi di Fatah al Islam assediati nel campo profughi di Nahr al-Bared devono arrendersi o dovranno affrontare un’azione militare".

Il 25 maggio riprendono i combattimenti. Come leggiamo su Avvenire la calma era quindi solo apparente. E infatti al calare delle tenebre si sono uditi di nuovo i colpi di cannone e le raffiche delle armi pesanti tagliavano il cielo.

Il Giornale punta invece l’attenzione sul terrore disseminato dal gruppo terroristico Fatah al Islam, la cui minaccia si sta avvicinando anche all’Unifil, la forza di interposizione delle Nazioni Unite nel Sud del Libano, il cui contingente più numeroso, con 2.500 soldati, è quello italiano.

I combattimenti intanto continuano, provocando un numero altissimo di vittime e intaccando la stabilità e la sovranità del Libano.