UNA SETTIMANA DI EDITORIALI

IL CORRIERE DELLA SERA

                                                                           di  Elisa Siliato

 

L’ editoriale del “Corriere della Sera”  (www.corriredellasera.it) del 4 giugno si occupa della depressione dei consumi e di come questi sono cambiati nel corso degli anni. Francesco Gavazzi infatti scrive: “Negli anni Sessanta e Settanta le famiglie italiane acquistavano beni e servizi per un 4-5% in più ogni anno. Da allora la crescita dei consumi si è progressivamente esaurita: 2,6% negli anni Ottanta, meno del 2% negli anni Novanta. Dal 2001 a oggi i consumi delle famiglie sono rimasti sostanzialmente invariati.”

Perché le famiglie italiane hanno smesso di accrescere i loro consumi?          “ «La spesa delle famiglie è erosa dalle rendite, frenata dall'incertezza sull'esito di riforme che toccano in profondità la loro vita», ha detto la scorsa settimana il Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi. L'analisi del ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero è più semplice: «Se salari e pensioni non crescono come aspettarsi una crescita dei consumi?»”. L’ analisi continua dicendo: “ La produttività dipende dall'innovazione e quindi dalla qualità del capitale umano: se non si migliora la scuola non c'è speranza. L'indagine dell'Ocse sui livelli di apprendimento dei ragazzi quindicenni mostra non solo un ritardo delle scuole italiane rispetto a quelle europee, ma anche un forte divario fra Nord e Sud.

L’ editoriale del 5 giugno, a cura di Angelo Panebianco, si occupa di un caso molto “speciale” che è la vicenda Visco. “La mancanza di trasparenza che ha fin qui caratterizzato la vicenda alimenta le più diverse voci, e anche ogni tipo di ricostruzione complottarda. E il governo ne porta la responsabilità”. L'affare esplode perché il viceministro Visco vuole imporre ai vertici del Corpo il coinvolgimento in un giro di trasferimenti di quattro ufficiali della Guardia di finanza, già impegnati in delicatissime inchieste. quando il caso esplode, la crisi viene affrontata nel modo più contorto possibile: “il generale Speciale, entrato in conflitto con Visco, rifiuta di dimettersi e viene rimosso da un Consiglio dei ministri. Per giunta, la rimozione viene accompagnata da un trasferimento (rifiutato dal generale) alla Corte dei conti. In aula il governo dovrà dare circostanziate spiegazioni. E sarà un passaggio delicato. Forse, non lo sarebbe se lo scollamento fra governo e Paese non fosse ormai così forte e se non ci fossero, per l'esecutivo, tante altre minacce in vista (il secondo turno delle amministrative, l'ormai incombente visita di Bush). Per il bene della Repubblica italiana ci auguriamo fortemente che il governo non cada proprio su una questione istituzionalmente cruciale come i rapporti con i corpi dello Stato”.

Di tutt’altro argomento si occupa Alberto Ronchey nell’ editoriale del 6 giugno, che si occupa e preoccupa dell’ imminente visita di Bush a Roma. “L'incubo è che sabato prossimo, con la visita di George W. Bush a Roma, possano ripetersi le violenze di Rostock alla vigilia del G8. Non sappiamo come reagirà Bush contestato per la guerra in Iraq e altre brucianti vertenze internazionali. Eppure, malgrado il corso degli eventi e la sconfitta subita nelle recenti elezioni di mid-term, Bush rimane imperturbabile.” Continua analizzando il rapporto dei paesi europei con il presidente americano: “Agli europei, Bush dal 2003 è spesso apparso apodittico. Tuttavia ora Sarkozy sembra incline, come  Merkel, a giudicare che l'agenda internazionale presenta troppe controversie rischiose per trascurare i rapporti fra «carolingi e texani»: oltre all'Iraq e all'Afghanistan, le ultime vicende libanesi e israeliane, il nucleare iraniano, il difficile accordo sul global warming, lo scudo antimissili Nato che a ragione o a torto allarma Putin. Davvero troppe incognite. Fino alla scadenza del mandato di Bush, per un altro anno e mezzo si dovrà dunque trattare strenuamente con il «presidente difficile»”.

L’ editoriale del 7 giugno ritorna trattare gli affari di casa, e si occupa del voto del senato sul caso Visco. Pierluigi Battista scrive: “Come era previsto, la maggioranza di governo non è stata battuta dal voto del Senato sul caso Visco-Speciale. Ma non esce indenne da una vicenda condotta in modo contraddittorio…….il governo non cade, ma appare debole e sfibrato il primo elemento che dovrebbe cementarne se non l'unità e la concordia, almeno una fondamentale solidarietà: la fiducia reciproca tra gli alleati, la percezione di un percorso da affrontare insieme, per obiettivi che non siano la pura e semplice durata alimentata dal comune (questo sì) istinto di sopravvivenza”. Continua scrivendo: “Stavolta le divisioni della maggioranza di governo rivelano nicchie di dissenso e di disimpegno malmostoso che attraversano tutte le forze politiche, anche con propaggini all'interno dei singoli partiti. Primo fra tutti quello che ancora formalmente non esiste ma costituisce ormai l'orizzonte politico e organizzativo irrinunciabile della parte maggioritaria della coalizione: il Partito democratico”. Poi suggerisce una cura per risanare il “malgoverno” e scrive: “Dovranno approntare gli strumenti e le medicine per una cura disintossicante che liberi l'organismo del governo dal peso di un clima, di un'atmosfera, di uno stato d'animo che fanno gradualmente ma inesorabilmente venir meno le condizioni minime di una maggioranza di governo incapace di trovare le ragioni di una convivenza duratura.”

La “botte piena” di Piero Ostellino è il titolo dell’ editoriale dell’ 8 giugno, che analizza il rapporto dell’ Ocse sui sistemi pensionistici e denuncia le due incongruenza riscontrate nel sistema italiano. Prima incongruenza: da noi, la spesa pensionistica è più alta che altrove; Seconda incongruenza: noi abbiamo il tasso più alto di contributi. “Siamo i soli che non sottoscrivono il Rapporto e facciamo inserire una nota che dice: «L' Italia ha espresso seri dubbi sull'adeguatezza dei dati utilizzati dal Rapporto e conseguentemente sulla compatibilità dei risultati». Da noi scoppia un «caso politico».Il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, plaude alla decisione di aver preso le distanze dal Rapporto; altrettanto fanno alcuni rappresentanti della sinistra; l'opposizione parla di «schiaffo a Prodi».In realtà, le ragioni della riserva italiana sono due: una, formalmente tecnica; l'altra, sostanzialmente politica. La ragione tecnica è che, nel caso italiano, il percorso stimato dall'Ocse è effettivamente «fuorviante». Da noi non si entra abitualmente nel mercato occupazionale a 20 anni, bensì più tardi, e non se ne esce sempre dopo 45, bensì prima. La ragione politica è che, in proiezione futura, chi lavorasse fino a 65 anni riceverebbe una cifra analoga a quella percepita dalle generazioni già in pensione: il 70-80% dell'ultimo salario; ma chi lavorasse meno, sia con la riforma Dini, sia con quella Maroni, finirebbe col prendere meno. In altre parole, i nostri sindacati sono contrari sia alla revisione dei coefficienti di trasformazione della Dini, sia allo «scalone» della Maroni. La decisione del nostro rappresentante all'Ocse di non sottoscrivere il Rapporto, e il plauso di Epifani e degli esponenti della sinistra si spiegano, dunque, così, con questa anomalia tutta italiana. Che tradotta in un proverbio popolare significa che vogliamo la botte piena e la moglie ubriaca”.